giovedì 3 dicembre 2009

Lorenzo Mattotti, Hansel e Gretel, Orecchio acerbo, 2009

Con i fumetti esorcizzo l'orrore delle favole
(Il Mattino, 01 dicembre 2009)



Scriveva Schiller: «C’è un significato più profondo nelle fiabe che mi furono narrate nella mia infanzia che nella verità qual è insegnata dalla vita». E proprio un viaggio sulla tortuosa via del significato sembra Hansel e Gretel (Orecchio acerbo, pagg. 48, euro 20), l’ultimo lavoro di Lorenzo Mattotti: illustrando il testo integrale di una fiaba ad alto contenuto orrorifico, l’artista apre per il lettore a colpi di pennello e inchiostro un sentiero dentro le paure, alla ricerca della vita.
«Hansel e Gretel», quella che Bruno Bettelheim considera la fiaba «dell’ansia da abbandono»: come nasce questa scelta?
«All’inizio c’era solo il desiderio di creare delle immagini sulla mia visione di Hansel e Gretel. L’idea di un libro è venuta dopo. Non c’è stato quindi nemmeno un lavoro di documentazione sui precedenti storici. Cosa significa per me ”Hansel e Gretel”? Era la fiaba che mi terrorizzava da bambino. Avevo un libretto che ho rivisto anni dopo, prima di perderlo per sempre. E ho scoperto che avevo scarabocchiato con le matite il viso della strega, aumentando così la mia paura nel guardarlo».
«Hansel e Gretel» è un libro di illustrazioni in bianco e nero. Ma è il nero, che attrae e che si percepisce pericoloso, a farla da padrone.
«Il nero è molto affascinante, al limite dell’ossessione. Mentre il bianco è una superficie riflettente che dona luminosità, il nero è il luogo dove sei libero di confrontarti con le tue paure, i tuoi misteri. Si trasforma in buchi, dei veri e propri corridoi che creano uno spazio che ti risucchia, in cui vorresti entrare sempre di più. Lavorare con poche luci che escono dal buio, attraverso i contrasti: questa è la sfida del nero di china. Diverso il discorso del nero dei pastelli o del carboncino. In quel caso i contorni si fanno più sfumati».
I paesaggi sono così forti e potenti da risultare quasi dei personaggi essi stessi.
«È così. Il paesaggio, la sovrapposizione delle pennellate, è già una storia: le ombre che prendono vita, i rumori, le paure dei bambini. Ogni segno è la registrazione di un’emozione».

Sul sito de Il Mattino per continuare a leggere (solo per una settimana): QUI

____________________
Di seguito trovare alcune battutte che non hanno trovato posto nell'intervista. Interessante soprattutto quella sul confronto Italia/Francia...buona lettura!

Presenterà l’edizione francese del libro (Gallimard) il 28 novembre al Salon du livre et de la presse jeunesse a Parigi, dove quest’anno l’Italia è ospite d’onore. Secondo lei che ormai da molti anni vive in Francia, quali sono le differenze tra i due paesi e i rispettivi modi di pensare l’illustrazione?
L’impressione generale è che, nonostante poche virtuose eccezioni soprattutto piccole case editrici, l’editoria italiana abbia sempre avuto maggiore timore nella produzione dell’immagine e del disegno che racconta se stesso. Per pigrizia o per ignavia, non sperimenta mai molto limitandosi a comprare i diritti di opere già presenti all’estero. L’Italia mi sembra sempre un po’ in ritardo rispetto alla Francia. Diversamente da quanto ho l’impressione accada per l’attenzione alla qualità della scrittura. Un’altra cosa che mi aveva molto colpito quando mi ero appena trasferito, era il rapporto diretto tra creazione e produzione: gli editori si incontrano più facilmente. Se chiedi un appuntamento, di solito questo ti viene dato, come le risposte.
E' uscito The Raven (Seuil), un progetto realizzato con Lou Reed in cui dà l’impressione di proseguire il percorso del suo ultimo Pinocchio (Einaudi, 2008): chine, matite, pastelli si alternano in un turbinio di forme, inquadrature, personaggi.
È un libro complesso e centrifugo. È un’opera aperta, di ricerca e sperimentazione in cui tre immaginari (il mio, quello di Lou Reed e quello di Edgar Allan Poe) cortocircuitano e si sovrappongono. Mi sembra l’idea contemporanea del libro di immagini: il lettore deve creare i suoi ponti.
Come è nato questo progetto?
Dai testi creati da Lou Reed per POE-Try, uno spettacolo di Bob Wilson del 2003. quando gli è venuta l’idea di farne un libro ha iniziato a cercare un illustratore: noi ci siamo conosciuti grazie all’intermediazione di Art Spiegelman. Fin da subito ho capito che non sarebbe stato il classico libro illustrato ma che avrei potuto osare molto: ecco quindi un lavoro in cui emergono due personalità molto forti che dialogano anche se procedono su sentieri opposti. Sullo sfondo il tema comune del senso di colpa.
Silvia Santirosi
© Droits reserves/right reserved.