domenica 10 gennaio 2010

"Il corpo delle donne"

(Via Pò, 09 gennaio 2010)

«La cultura italiana è cambiata nel vissuto, nell’esistenziale, nel concreto»: una frase che sarebbe una banale registrazione dello status quo sociale del nostro Paese, se non fosse stata pronunciata da Pier Paolo Pasolini l’11 luglio 1974 nel corso di un’intervista sul Mondo. «Non voglio fare profezie» continuava l’intellettuale, «ma non nascondo che sono disperatamente pessimista». Oggi non ci resta che constatare il compimento di quella "grande mutazione antropologica” che uno sguardo così lungimirante aveva previsto. È così che capita quotidianamente di vedere corpi femminili, svestiti al limite della nudità, esposti allo sguardo delle telecamere e offerti agli spettatori (di entrambi i sessi) con un punto di vista così poco accidentalmente indiscreto. Un cambiamento al tempo stesso strabico e schizofrenico: e allora capita anche di assistere alle manifestazioni di mamme che rivendicano il diritto di allattare al seno il proprio bambino nei luoghi pubblici. O magari di ricordare che, solo un anno fa, un anonimo Braghettone digitale (soprannome di Daniele da Volterra che fece lo stesso servizietto ai nudi della Cappella Sistina) censurava La Verità svelata dal Tempo di Gian Battista Tiepolo, scelta come sfondo alle conferenze stampa del governo, mettendo biancheria intima sul corpo della giovinetta che incarnava, appunto, la Verità. Nulla da eccepire sul fatto che tale sventatezza potesse offendere la sensibilità di qualche osservatore. Eppure la politica non disdegna volti (e corpi) di veline e soubrette di vario genere e titolo. Come non ricordare l'uso che delle candidature di tali rappresentanti del gentil sesso si è fatto per le elezioni europee? Di norma e potere parlano questi corpi, di un potere ben descritto, ancora una volta, dalle parole di Pasolini: «mai un “modello di vita” ha potuto essere propagandato con tanta efficacia che attraverso la televisione. Il tipo di uomo o di donna che conta, che è moderno, che è da imitare e da realizzare, non è descritto o decantato: è rappresentato». Una rappresentazione che può essere manipolata e plasmata: il corpo, costruzione culturale, punto di incontro e scontro di diversi livelli simbolici, diventa allora il campo di battaglia del tentativo di cambiare l’immaginario, quello espresso e quello suscitato, attraverso le storie e le narrazioni: soprattutto di tipo televisivo, visto che gli italiani leggono poco. O di confermare alcuni topoi di continuum discorsivo vecchio di secoli, di millenni: Donna-Patria, Donna-Territorio, Donna-Bambina. Un corpo interpretato insomma secondo il codice del materno o del demoniaco, il cui prodotto sono uomini e donne ridotti a soggetti deformati: i primi sospesi tra il “sogno dell’harem” e il mito della tenerezza accogliente e protettiva della “grande Madre”, le seconde “incastrate” in un universo immaginifico che le riduce a corpi-carne: corpi che accolgono il piacere maschile o la capacità generativa dell’umano. Una situazione, si badi bene, che è «fonte di corruzione per entrambi» come già scriveva John Stuart Mill, perché «nell’uno propone i vizi del potere, nell’altra quelli dell’artificio», arrivando al ribaltamento: «così la parte più debole può far diventare il fatto stesso della dipendenza uno strumento di potere».
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