martedì 9 febbraio 2010

Pennac: impariamo da Bartleby a sconfiggere i cattivi desideri

(Il Mattino 09 febbraio 2010)
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Bartleby lo scrivano, una storia di Wall Street è il testo di Herman Melville che Daniel Pennac ha adattato per la scena. Presentandolo al Teatro Argentina di Roma, lo scrittore francese ha inaugurato la rassegna «Face à face, parole di Francia per scene d’Italia», una manifestazione che porterà in dieci città italiane (Milano, Torino, Napoli, Palermo, Bologna, Bari, Firenze, Genova e Noto) 40 spettacoli firmati da autori francesi e messi in scena da registi e attori italiani. 
Come nasce il desiderio di salire sul palcoscenico? 
«Per me il teatro rappresenta un modo per incontrare le persone. Mi stanco spesso di me stesso, di essere sempre solo davanti alla tastiera. Rischio di diventare un po’ autistico praticando il solo mestiere di scrittore. Ho bisogno di vita e un teatro è vivo. Come lo erano le classi in cui insegnavo quando ero professore. Forse, l’unica differenza tra una classe e una platea è che gli studenti sono costretti a restare. Gli spettatori no. L’altro motivo è che amo la lettura ad alta voce. Lo faccio da tutta la vita. Leggo ai miei amici, a mia moglie». Non è la sua prima volta a teatro. Dopo l'esperienza di «Merci»cosa è cambiato? 
«Veramente no. La paura, il panico totale sono esattamente gli stessi. È un elemento interessante su cui riflettere. Come interprete ho paura del ridicolo? No. Dell’insuccesso? Nemmeno. Ce ne sono stati ben altri di insuccessi nella mia vita». 
Qual è quindi il suo rapporto con il racconto di Melville?
«All’inizio ero convinto fosse molto conosciuto. Quando si apprezza qualcosa da tutta la vita, si crede che faccia parte dell’immaginario di tutti. Ma non è così. Ho chiesto quanti lo avevano letto: più o meno il 2 per cento del pubblico. È per questo che ora, prima di iniziare a leggere, racconto brevemente la storia. Un altro testo che amo profondamente, costitutivo della mia persona, è la Leggenda del Grande Inquisitore di Dostoevskij. Un giorno, forse, porterò a teatro anche quel testo». 
E con il personaggio di Bartleby? 
«Questa figura rappresenta, per usare un termine spinoziano, una monade impenetrabile, l’arresto del desiderio. Bartleby chiude la porta al mondo con il suo pacato rifiuto: preferirei di no. Usa il condizionale, ma senza associare il verbo preferire a un’azione concreta: quel preferirei di no è un rifiuto assoluto. Poi c’è il personaggio del notaio, altrettanto interessante. Una persona socialmente strutturata, inserita, animata dalla sincera volontà di capire gli altri che viene scioccato e destabilizzato dal comportamento dello scrivano. E piano piano anche le sue certezze crollano». 
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