mercoledì 29 settembre 2010

Le chiavi della stanza segreta

(Via Pò, 25 settembre 2010)
_________
Il doloroso carteggio tra i poeti Paul Celan e Ingeborg Bachman




È un'avventura dolorosa e struggente la lettura di Troviamo le parole. Lettere 1948-1973 (Nottetempo, pp. 331, euro 25,00), la raccolta di epistole che Paul Celan e Ingeborg Bachmann si scambiarono nell'arco di diciannove anni. Un dialogo a due a cui si aggiungono le parole di Gisèle Celan-Lestrange e di Max Frish, i rispettivi compagni, nonché un apparato di appendici che si compone di immagini, note, cronologie e della conclusione poetologica di Hans Höller e Andrea Stroll, due dei curatori dell'edizione tedesca.
Prima però di seguire qualunque linea interpretativa, ci si potrebbe interrogare sul motivo che spinge a leggere un epistolario. Le lettere sono un fatto privato tra due individui, uno scambio di pensieri, emozioni. Cosa può giustificare allora questo voyeurismo intellettuale, se non la peculiarità umana e letteraria dell'incontro tanto fecondo e sterile fra un ebreo-rumeno sopravvissuto a un campo di lavoro i cui genitori erano stati assassinati in un lager tedesco, e della figlia di un appartenente alla comunità nazionalsocialista? Penetrare nella loro stanza segreta, infatti, offre l'occasione irrinunciabile di mettere sotto la lente d'ingrandimento il punto di tangenza, il linguaggio di questi due mondi che si
parlano, che provano a comunicare e non ci riescono. Forse perché c'è un terzo interlocutore la cui presenza è tanto ingombrante quando silenziosa: il poema, la Poesia, la Letteratura. "Il poema" scrive Celan "tende a un Altro, esso ne ha bisogno, esso ha bisogno di un interlocutore. Lo va cercando; e vi si dedica". Ecco allora che questo carteggio, un "colloquio - spesso un colloquio disperato", rivela la
sua natura di doppio monologo fra sordi. "Quando noi parliamo con le cose a questo modo" continua il poeta, "sempre c'imbattiamo anche con il problema della loro origine e della loro destinazione: con un problema che - rimane aperto -, non sfocia ad alcuna conclusione, addita uno spazio aperto e vuoto - siamo ampiamente fuori". È il problema di Agostino: come poter contenere il mare - infinito - in
una mente umana - finita -? Ecco che si mescolano le voci, le esperienze descritte, gli immaginari, l'amore vissuto e quello pensato, a cui si sommano i difetti, gli egoismi, le debolezze di due creature sublimi nella loro fragilità, nella loro incapacità di appartenersi e di appartenere a questo mondo. E quello che resta, alla fine, è solo la parola: vuota per eccesso di significato e per difetto di vita. C'è chi dice che la vita si deve
viverla oppure se ne deve scrivere, chi invece sostiene che la scrittura sia vita potenziata. Per i due amanti, il linguaggio è lo spazio e il tempo per quell'amore che non fiorisce nella realtà, che anzi confonde i piani alterando lo scorrere dei giorni e l'alternarsi delle stagioni. In un aforisma pubblicato da Paul Celan sul quotidiano zurighese Die Tat nel 1949, scritto in un periodo di fascinazione per le brevi parabole oniriche di Kafka, leggiamo: "era tanto grande il suo amore per lei, che essa avrebbe potuto ribaltare il coperchio della bara di lui - se solo il fiore che vi aveva deposto non fosse stato così pesante": il fiore della possibilità dello scrivere dopo Auschwitz. Cercavano forse i due artisti il modo di fare dell'amore il movente del loro atto creativo e che fu invece la morte (quella il poeta che scelse gettandosi nella Senna), intesa anche come irrimediabile distanza. Due rette che correvano parallele ma che non potevano fare a meno di tendersi la mano, nell'illusione che nel punto, sempre mancato, del loro incontro avrebbero potuto salvarsi. Ma non c'è appello alla condanna di ogni esistenza, tanto più se segnata da un amore tragico. "La mia vita finisce, perché lui è annegato nel fiume durante la deportazione" dice l'Io con il mantello nero di Malina, il romanzo della Bachmann scritto nel 1971, "era la mia vita. Io l'ho amato più della mia vita". E c'è chi ha visto nell'incidente costato la vita alla donna, l'atto mancato di un suicidio.
I. Bachmann, P. Celan,
Troviamo le parole. Lettere 1948-1973, Nottetempo, Roma 2010, pp. 331, euro 25,00
Silvia Santirosi
© RIPRODUZIONE RISERVATA