mercoledì 14 dicembre 2011

GIACOMETTI E GLI ETRUSCHI


(Il Mattino, novembre 2011)
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Si racconta che Alberto Giacometti sia rimasto due ore a contemplare silenzioso la statuetta etrusca, battezzata da Gabriele D’Annunzio come L’Ombra della sera (datata intorno al 350-300 a. C.), nel Museo di Volterra. Il viaggio che lo aveva portato in Italia, sulle orme dell’antica civiltà etrusca (da Firenze a Pisa, da Veio a Volterra appunto), era l’atto finale di una fascinazione iniziata qualche anno prima. Nel 1955, infatti, la visita alla mostra organizzata al dipartimento Antichità e Archeologia del Louvre sull’arte della popolazione centro italica, aveva impressionato così tanto l’artista da spingerlo a ripensare il suo atelier, organizzandolo sul modello di una tomba etrusca. Certamente, poi, mille saranno state le domande che una prossimità così evidente avranno suscitato in lui.
Proprio dalla volontà di rendere esplicita quella che si potrebbe considerare una filiazione diretta o quantomeno un’estrema vicinanza di due estetiche, nasce il percorso dell’esposizione Giacometti e gli Etruschi aperta fino al 2 ottobre alla Pinacoteca di Parigi. Un legame che i visitatori potranno apprezzare grazie al dialogo tra 30 pezzi dello scultore svizzero (tra cui diversi disegni su carta e schizzi sul catalogo della mostra del’55 o su altri libri, nonché alcuni quadri a olio) e 150 oggetti etruschi (anfore, urne cinerarie, vasi, ceramiche, gioielli, sarcofagi scolpiti e statue di diversa grandezza). Ovviamente non poteva mancare l’opera che aveva provocato uno shock così forte in lui. L’Ombra della sera, statua di bronzo dall’aspetto longilineo e filiforme, misteriosa e sensuale con il viso di un bambino che esprime però la saggezza di un vegliardo, rappresenterebbe la divinità chiamata Tèges, il custode dei fondamenti religiosi della spiritualità etrusca. L’aneddoto racconta che fu trovata da un contadino e usata per anni come attizzatoio. Fatto sta che dal 1731, informazione tramandata grazie a una nota lasciata dal prete Anton Francesco Gori, appartiene alla collezione privata di una famiglia aristocratica.
«I confronti» dice Marc Restellini, direttore della Pinacoteca, «sono senza dubbio ciò che c’è di più esaltante per far avanzare la storia dell’arte». Sebbene con una valenza metafisica nel caso di Giacometti, più religiosa per l’anonimo scultore etrusco, in entrambi i casi è la fragilità umana a essere il soggetto della rappresentazione. Solo che passeggiando per le sale, concepite nel rispetto dei quattro periodi della storia etrusca (la villanoviana, l’orientalizzante, l’arcaico e il classico, l’ellenistico), il gigante della scultura del secolo scorso fa la figura del nano: la potenza e la freschezza dei reperti etruschi (talvolta così piccoli da non superare qualche centimetro) sono impareggiabili. Ironia della sorte, quella civiltà così raffinata e moderna (basti pensare al ruolo affatto marginale delle donne nella società), fu sconfitta e condannata all’oblio da un popolo più giovane e più rozzo: quello romano.
Silvia Santirosi