lunedì 18 gennaio 2010

L'Olocausto di Kertész

(Il Mattino, 17 gennaio 2010)

«Conosco le tue rughe / Come tu conosci le mie, / delle quali non sei forse tu l’autore?» recitava una poesia di Marina Cvetaeva. Parole che esprimono perfettamente lo spirito di quest’ultima prova letteraria dello scrittore ungherese Imre Kertész. Perché Dossier K. è costruito come una lunga intervista in cui le domande, a volte, sono più importanti delle risposte. Cosa che non deve stupire visto che intervistatore e intervistato coincidono o, meglio, sono due voci emesse dalla stessa, problematica, gola. Tra le pagine viene ricordato il foglio informativo, quel «documento misterioso che accompagnava la gente come la sua ombra invisibile». E così procede Kertész in questo libro, che non è romanzo, nemmeno autobiografico, non è saggio, né pamphlet. Perché mentre l’autobiografia ricorda qualcosa e la finzione letteraria crea un universo di qualche tipo, qui è una vita «vera» in un mondo «storico» che viene raccontata.
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