lunedì 19 luglio 2010

I nuovi sofisti del dibattito pubblico

(Via Pò, 17 luglio 2010)
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Ci sono le polemiche, come quella tutta bipartisan contro “I Poteri forti” (ma dove staranno, se tutti li criticano?), ci sono le dichiarazioni rilasciate a tamburo battente contro la faziosità della magistratura (indipendente proprio perché deve garantire dagli abusi degli altri poteri il popolo in nome del quale è amministrata – art. 101 della Costituzione), ci sono le continue smentite e le debite precisazioni di frasi appena rilasciate. Nella situazione di inestricabile intreccio di politica e mezzi di comunicazione di massa, di personalizzazioni (e personaggi) nati dalla crisi delle ideologie, nell’oscillare delle informazioni e nella molteplicità degli interessi, il dibattito pubblico si svolge in un agone epistemicamente grigio. Questa è la condizione in cui ci troviamo oggi: alla fragilità della verità nella sfera pubblica, strutturale e connaturata allo stesso sistema democratico, si accompagna un abbassamento della fiducia dei cittadini e un’evidente (conseguente?) nichilistica indifferenza. E questo è lo scenario preso in esame da Verità avvelenata. Buoni e cattivi argomenti nel dibattito pubblico (Bollati Boringhieri pp. 257, euro 15,00). Nel suo ultimo libro, Franca D’Agostini cerca di descrivere e smascherare presupposti, fallacie (un argomento che sembra corretto ma non lo è, Aristotele ne individuava 13 nelle sue Confutazioni sofistiche, oggi se ne contano 112) e strategie in atto nel discorso pubblico. Il tutto attraverso la spiegazione di elementi di teoria dell’argomentazione con incursioni in diverse discipline come la logica (che si occupa della validità), la retorica (della persuasività), la metafisica (che riflette sulla realtà) o l’epistemologia (sulla conoscenza) in nome della “verità”, uno dei trascendentali ossia dei concetti chiave della filosofia. “Anche nuda”, diceva Galileo Galilei, “è sempre abbastanza ornata di per se stessa”, o così almeno dovrebbe essere. Non oggi, comunque, nel regno degli spin doctors in cui non si può non dubitare della ragionevolezza del dibattito pubblico e dell’accettazione delle regole che si suppongono condivise e il cui rispetto garantisce lo svolgimento costruttivo del confronto. “Come sanno bene gli avvocati” scriveva Pier Paolo Pasolini nei suoi Scritti corsari, “bisogna screditare senza pietà tutta la persona del testimone per screditare la sua testimonianza”. E, infatti, discutere non sembra più finalizzato a verificare l’accettabilità di una o più tesi, ma a delegittimare in partenza il discorso degli avversari politici per averne ragione. Ricordate quando Nick Naylor, protagonista politicamente scorretto del film Thank you for smoking di Jason Reitman, affermava: “se argomenti nel modo giusto, non hai mai torto”? Non è possibile trovare migliore definizione della strategia retorico-argomentativa conosciuta come avvelenamento del pozzo.
La vastità e la velocità dell’avvelenamento sono certamente inedite, ma Franca D’Agostini è convinta che non siano il risultato del potere dei media e del loro gioco sistematico di falsificazione. Quantomeno non solo. Presupposto il cosiddetto primato del terzo, (ossia di chi recepisce gli argomenti su chi li produce), preso atto che è cresciuta e continua a crescere la velocità dello scambio, della confusione e del “rumore”, è necessario considerare anche che sono a disposizione più informazioni per smascherare il falso, che si è potenziata l’abilità quotidiana del singolo di capire e selezionare l’utile e l’interessante. Non sembra reggere nemmeno il nichilistico motto “tutti hanno torto, e non c’è verità”: se si va oltre, sembra dirci la filosofa, ci si accorge che c’è ancora molto da imparare. L’insidia non sta nell’avvelenamento del pozzo, dunque, ma nel fatto che non è sempre evidente che lo sia, che non si veda e percepisca correttamente dove sia l’errore strategico, l’opportunità ideologica. Come a dire che se vengono insegnate ai cittadini le regole del giusto argomentare e a seguire la dialettica dei concetti, prevarranno i migliori. Conclusioni all’insegna dell’intellettualismo socratico. Ma è davvero così?
Silvia Santirosi
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