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"Buttarsi, il nuovo romanzo di Dan Fante pubblicato da Marcos y Marcos"
Occhiali con la montatura scura, piccoli e rotondi. Jeans e scarpe marroni, camicia azzurra con le maniche arrotolate che lasciano scoperto il tatuaggio sul braccio destro: il nome di suo fratello, una serie di numeri con data e la scritta "dead from alcohol". Così si presenta Dan Fante ai suoi lettori romani. In Italia per promuovere l'uscita di Buttarsi (Marcos y Marcos, pp. 272, euro 16,50), lo scrittore americano non risparmia storie e aneddoti su di sé e su ciò che racconta nel libro, cioè la sua vita. "Ne ho scritti cinque che hanno come protagonista Bruno Dante, mio alter ego, e mio padre ovvio. Ma non ho mai scritto qualcosa su mia madre" dice quasi intenerito, mitigando quel suo modo di essere ironico e canzonatorio, perfettamente padrone della situazione. "Ecco che invece il personaggio di J. C. Smart è costruito su di lei: mia madre era una poetessa, un critico, un editor eccezionale. Ha letto quattro, cinque libri a settimana fino a qualche giorno prima di morire. Era la persona più colta e geniale che abbia mai conosciuto, anche se non era proprio dolce e amorevole. Le ho dato corpo e voce realizzando così anche un suo desiderio: essere un poeta pubblicato. I due componimenti che sono nel libro sono suoi". Una specie di risarcimento a posteriori, come chiarisce subito dopo. "Quando ancora vivevo con lei ed ero senza lavoro, le ho fatto leggere alcune pagine. Oh Dio no, ha esclamato, non voglio un altro scrittore. Odio gli scrittori! E quando le ho chiesto di revisionare il manoscritto di Angeli a pezzi, mi ha detto che se davvero volevo vivere di questo mestiere, dovevo quantomeno fingere di saper fare lo spelling".
Come già suo padre prima di lui, Dan Fante scrive di cose che conosce molto bene: la sua vita reale, la sua famiglia, i suoi errori. L'autobiografismo è la
chiave di tutta la sua scrittura: una letteratura di vita e di strada. Noi lasciamo una macchia, lasciamo una traccia, lasciamo la nostra impronta, dice Philip Roth. Impurità, crudeltà, abuso, errore, escremento, seme:
mi è capitato di incontrare molti personaggi dello spettacolo: Bruce Springsteen, Mike Jagger e altri. E ce n'era uno che chiedeva sempre di me: era Paul Simon. Per un anno intero l'ho accompagnato ovunque, ma lui non mi ha mai rivolto la parola. Fino al giorno in cui mi sono rifiutato di continuare. Non riuscivo a capire perché volesse proprio me. Un mio collega me l'ha spiegato tempo dopo: ero uno degli autisti più bassi della ditta. Un po' come lui".
Non c'è domanda alla quale si tira indietro, cinico e disilluso quanto basta. Chiarisce ogni punto, senza ripulire contenuti e modi. Parla lentamente, scandendo frasi e parole, quasi pregustando l'effetto che produrrà nell'uditorio. "Mio padre amava molto i cani. Arrivò a possederne fino a dieci. Ogni sera gli preparava la cena, uno strano, orribile miscuglio di cibo, e questo rituale è andato avanti per anni. Una volta scappò il suo amato, e detestato da tutti i vicini, cane Rocco. Poco dopo sentimmo uno stridere di freni e di gomme e vedemmo l'animale che volava per aria. Io, mio padre e mio fratello uscimmo in strada. Mio padre prendendolo fra le braccia ripeteva: oh mio Dio, il mio cane è morto, oh mio Dio! Rocco tossì, due volte, si alzo e saltò giù, andandosene per i fatti suoi. A quel punto mio padre gridò: questo cane vivrà per sempre! È come Giulio Cesare". Un'ultima curiosità. Il titolo originale è 86'd. "Non ne conosco l'origine, ma è un'espressione dello slang americano" risponde alla richiesta di chiarimenti. "Se vai in un bar a bere ogni notte, diventi molesto, inizi a creare problemi e ti viene detto di non farti più vedere lì, ecco allora che diventi un 86".
Silvia Santirosi
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