(L'Unità, 6 aprile 2011)
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La storia non sempre è quella magistra vitae che celebrava Cicerone. Può essere pessima, come amava definirla Luigi Malerba, può condannare all’oblio i popoli senza scrittura, le classi o i gruppi sociali non egemoni. La storia spesso ricorda date, trattati, battaglie perse e guerre vinte, grandi scoperte geografiche o scientifiche. E dimentica le vite degli uomini, con le loro gioie e dolori. Per non parlare delle donne. In questo caso non c’è nemmeno perdita di memoria. Semplicemente perché, spesso, non c’è nemmeno stata la volontà di ricordare.
Quest’anno si celebrano i 150 anni dell’Unità d’Italia. Ed è un proprio uno strano periodo quello in cui viviamo, in cui l’urgenza dell’agire non esclude, anzi, richiede assolutamente l’urgenza del capire. A cosa serve non dimenticare? E, soprattutto, a chi? Viviamo un tempo in cui l’unico orizzonte storico è la contemporaneità, viviamo un paese unidimensionale nel quale tale disciplina perde la sua funzione etica, pedagogica, e viene riletta non per comprendere, ma per legittimare. Il gioco è facile. Nello stato di precarietà esistenziale nel quale viviamo noi giovani sono progressivamente scomparse le dimensioni temporali: cos’è il futuro? E che dire del passato? Ogni generazione ricomincia da capo e quello che per alcuni può essere scontato, ad altri appare inedito. «Le generazioni di fine Ottocento si nutrivano della memoria del Risorgimento» scrive lo storico Stefano Pivato, «per quelle cresciute fra gli anni Venti e Trenta la Prima guerra mondiale era un punto di riferimento costante; la generazione del Sessantotto si è nutrita del ricordo della Resistenza. La generazione dei giovani di oggi mi sembra attraversata da un vuoto di memoria costante».
Proviamo a immaginare la storia come un armadio pieno di voci che gridano: voglio uscire, voglio uscire, voglio uscire! Ascoltare, permettere loro di raccontarsi sarebbe un modo per riscattare queste voci, donne e uomini trasformati in astrazioni.
A questo sono state chiamate le trenta donne invitate a partecipare al progetto di storia illustrata “L’altra metà dell’Unità”: a parlare, a fare le veci di altre trenta donne, per lo più dimenticate o mai davvero conosciute, che hanno dato il loro contributo, che hanno speso e sacrificato la loro vita per fare quell’Italia che oggi noi siamo. Non meno dei loro mariti, padri, figli, amanti e compagni.
Ciascuna armata dei propri colori e delle proprie materie, hanno cercato di restituire carne e corpo ai loro personaggi nel tentativo di rendere vicino ciò che è lontano nel tempo e nello spazio, e di ridare vita alla vita. Tutto questo attraverso l’arte, che è anche sensibilità e sapienza tecnica individuale.
Tutto questo ben consapevoli che l’Unità del nostro paese non è un dato ma un processo in fieri. E che per realizzarsi davvero, ha bisogno anche dell’altra sua metà. Oggi come non mai.
Silvia Santirosi
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L’ALTRA META’ DELL’UNITA’
Un viaggio nel paese reale che costruì L'Unità D'Italia
Un omaggio alle energie femminili nascoste dalla storiografia