lunedì 28 giugno 2010

I ritratti, una mappatura dell'anima






Tullio Pericoli all'Ara Pacis con i suoi dipinti, paesaggi e volti celebri: da Saviano a Pasolini

(Il Mattino 28 giugno 2010)
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Al Museo dell'Ara Pacis di Roma è stata inaugurata «Lineamenti. Volto e paesaggio», la mostra che riunisce 53 oli di Tullio Pericoli dipinti tra il 2007 e il 2010. L'esposizione, curata da Federica Pirani e visitabile fino al 19 settembre, permette di apprezzare un aspetto meno conosciuto della ricerca dell'artista. Uno scavo dell'interiorità che avviene attraverso una mappatura della superficie: poco importa che siano volti o paesaggi, che vengano ritratti delle vedute o i visi di Giovanni Testori, Carlo Caracciolo, Mario Botta, per citarne alcuni. È l'essenza quella che cerca di cristallizzare il pittore marchigiano, non gli accidenti. I ritratti sono come racconti, in cui il tempo di una vita si contrae nello spazio, ristretto, di un volto. E nei paesaggi si osserva lo stesso gioco, solo col beneficio dell'iperbole. Il tutto in una sovrapposizione e stratificazione di colori, oli, matite e pastelli, incisi e graffiati. 
Come nascono, Pericoli, questi lavori che sembrano anche rappresentare un'evoluzione del suo linguaggio? 
«Era una mostra che volevo fare da tempo perché i due temi, quello del paesaggio e del volto, sono i due poli della mia ricerca. Li ho messi insieme cercando di farli cortocircuitare. Vedremo se scatterà la scintilla. Per quel che riguarda il linguaggio, non credo si possa parlare di evoluzioni, e non me la sento nemmeno di pronunciarmi sulla direzione verso la quale mi sto muovendo. Forse non c'è nemmeno la volontà di saperlo. Parlerei di cambiamento». 
Dall'illustrazione alla pittura. Quale etichetta predilige e perché. 
«Ho realizzato tanti disegni per giornali e libri, ma ho sempre cercato di non fare delle illustrazioni se con questa parola si intendono dei lavori che spieghino il testo. Ho disegnato affiancandomi al testo, ma continuando a mantenermi indipendente». 
Cosa hanno in comune un paesaggio e un ritratto? 
«C'è in questo lavoro un accostamento dello spazio, della superficie del paesaggio a quello del volto. Non nel senso che si può ritrovare un paesaggio in un volto e viceversa. C'è però uno mio stesso modo di indagare i due mondi». 
Ha dichiarato che il ritratto «deve essere una cosa capace di aggiungere qualcosa di più vero al personaggio». Ci può spiegare cosa intende? 
«La differenza tra una persona viva, che parla e si muove e si esprime, e una persona morta è quella specie di fantasma che abita dentro di noi e che poi non c'è più. Il ritratto tenta di dare una fisionomia a questo qualcosa di impalpabile che sta dietro la prima pelle, l'interiorità che è fatta di presente, di passato e forse contiene già qualcosa del futuro». 
Dopo le centinaia di ritratti disegnati, dipinti, incisi, acquerellati, ha trovato una matrice originaria del volto umano? 
«Rispondo con qualcosa che mi ha detto una volta Umberto Eco. Gli ho fatto diversi ritratti. In uno di questi, mi disse, lui non ci si ritrovava, ma invece ci riconosceva quasi con fastidio la zia, il nonno, la nonna, il bisnonno. Ecco, sembrava che avessi colto qualcosa di più interno, di più originario di lui. Non so se esiste un'immagine assoluta, totale, dell'uomo. Forse tutti noi abbiamo in mente, senza saperlo, un modello assoluto e unico di cui ci serviamo per confrontare gli altri. Un modello che però non è rappresentabile. Certo è che ogni volta che esprimiamo un pensiero o un giudizio su una persona o un volto stiamo operando un confronto tra diverse cose che ci permette di arrivare a una definizione». 
Nei suoi quadri ci sono i ritratti di uomini nella piena maturità o sul viale del tramonto. Poi c'è Roberto Saviano
«La stratificazione degli anni e delle esperienze è necessaria per raccontare la storia del tempo che passa. Ecco il perché della mia scelta. Saviano mi ha incuriosito per altro. Sono tre gli elementi del suo viso: la fronte, gli occhi e la bocca. Ho eliminato il primo affinché si notasse per assenza, i suoi occhi che guardano, che come si dice sono lo specchio dell'anima, sono forse la cosa che più rimane nella memoria di chi lo osserva. Per quel che riguarda la bocca, si può notare la sua strana forma con una specie di forellino al centro. E da lì si può immaginare che qualcosa passi». 
Diverso il caso del ritratto di Pier Paolo Pasolini, in cui il naso e la bocca sono come cancellati. 
«La bocca è importante, è quella che risente di più delle stimolazioni muscolari che vengono dal pensiero. Esprime il carattere, il temperamento, quello che davvero è una persona. Ma per Pasolini ho creduto fosse più importante dare risalto a occhi, che occhi, e zigomi». 
Silvia Santirosi
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