lunedì 25 ottobre 2010

Non è un paese per giovani

(Via Pò, 23 ottobre 2010)
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Perchè in Italia si fa fatica a diventare grandi, una ricerca di M. Iezzi e T. Mastrobuoni


C'è chi ne parla come di bamboccioni affetti da mammismo, chi li definisce gioventù sprecata nella loro condizione di funamboli senza rete. Certo è che, al di là delle definizioni e delle interpretazioni, i fatti non cambiano. L'Italia è un paese bloccato, profondamente cambiato rispetto a venti, trent'anni fa e soprattutto non è un paese per giovani. Lavoro, casa, possibilità di costruirsi un nucleo familiare indipendente da quello d'origine: sono tutti miraggi per la generazione "mille euro", quelli che hanno meno di quarant'anni insomma, mentre il paese continua a cullarsi sulle rovine del recente passato. Si potrebbe quasi dire che il futuro è un lusso da proprietari, parafrasando le parole che Sartre fa pronunciare al protagonista de La Nausea. Ma invertendo la prospettiva, perché il filosofo francese parlava in quei termini del passato.
Contro l'idea che tale situazione sia solo un fenomeno culturale o antropologico intervengono il giornalista ed economista Marco Iezzi e la giornalista parlamentare Tonia Mastrobuoni. Nel loro libro-inchiesta Gioventù sprecata. Perché in Italia si fatica a diventare grandi denunciano, dati e rapporti statistici alla mano, quello che definiscono un vero e proprio "dramma collettivo che ha radici sociali ed economiche". Vediamo come. Partendo dallo studio Difficoltà nella transizione dei giovani allo stato adulto e criticità nei percorsi di vita femminili, pubblicato dall'Istat nel 2009, si legge che "più della metà dei giovani abbandona la famiglia non perché ha trovato un lavoro soddisfacente e che gli garantisca un'autonomia, ma perché si sposa". Aggiungendo che la media è di poco più di un figlio per donna nonostante meno della metà lavori, è così confermata l'affermazione "donne a casa, culle vuote" del politologo Maurizio Ferrera che fotografa quel dramma dimenticato che è la questione femminile. Tutta italiana, perché all'estero ci sono esempi eccellenti, soprattutto Francia o Germania, di come politiche di conciliazione efficaci (asili nido, congedi parentali) innalzino i tassi di natalità. I due autori proseguono parlando della scuola, con il suo corpo docente mal pagato e vecchio e di quell'Università del 3+2, ormai non più egualitaria e non più accessibile a tutti, affetta da gigantismo con l'aumento del
numero dei corsi di studio e la proliferazione incontrollata delle cattedre. Si alzano cori di lamentela contro tagli e mancanza di fondi (spesso sono professori e rettori a manifestare il disagio, prevalentemente maschi e sempre più anziani), ma il punto è che i soldi sono soprattutto spesi per distribuire posti più che per fare ricerca e appena lo 0,4% viene investito in servizi agli studenti. E infine, last but not least, arrivano al tema del lavoro, teoricamente flessibile, praticamente precario con i suoi effetti estesi sulla vita del singolo. La necessità di una riforma degli ammortizzatori sociali che si trascina dal "pacchetto Treu" del 1997 e invece si continua a comprimere sul costo del lavoro per rimanere competitivi anziché investire in nuove tecnologie. Pregio di questo libro è l'analisi critica della realtà attraverso le lenti dei cosiddetti patrii baluardi (il mattone, il posto fisso, la scuola pubblica), l'affrontare le emergenze delle nuove generazioni con la competenza di chi non vuole suonare le corde del risentimento o della rassegnazione. Ne è il segno tangibile la sezione finale, tutta dedicata alle interviste. E dalle parole di chi ce l'ha fatta (dalla regista teatrale Emma Dante a Frida Giannini, direttore creativo di Gucci), degli emigranti (da Ugo Bot, dirigente Onu a Bassora, al Banchiere della Usb di Londra Roberto Isolani) emergono percorsi alternativi. Storie che hanno un comun denominatore: intraprendenza, attitudine alla mobilità, intellettuale e fisica, un ambiente nel quale crescere stimolante e generalmente facoltoso. Poi ci sono quelli che i due autori chiamano i "saggi" (da Margherita Hack ad Andrea Camilleri), quelli nati tra gli Anni Dieci e Trenta che hanno vissuto il Paese che non c'è più. E i pareri sono contrastanti. "Quando l'Italia si è rimessa in piedi" dice critico Mario Monicelli, "le persone hanno cominciato a non poterne più di sacrificarsi, di vivere con poco. E hanno voluto garantire le stesse comodità anche ai figli. Ed è così che siete diventati tutti mammoni". Sarà un caso che queste sono le parole che chiudono il libro?
Silvia Santirosi
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