lunedì 28 febbraio 2011

Lorenzo Mattotti: Farò rivivere il mio vecchio Huckleberry Finn.

(L'Unità, 17 febbraio 2011)
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Passeggiando per Angouleme con Mattotti!!!


«Il fumetto è fatto di carta, di libri. La voglia di toccare la materia, di perdersi nell’immagine sono strettamente legati a questo mezzo di espressione» esordisce Lorenzo Mattotti entrando nel Musée de la Bande Dessinée d’Angoulême. E’ lì che ci ha dato appuntamento domenica, ultimo giorno del Festival Internazionale del fumetto che ha riservato molte sorprese quest’anno. Come la Palma d’Oro per il miglior albo vinta dall’italiano Manuele Fior e dal suo 5000 kilometri al secondo (Coconino Press, 2010).
«Personalmente apprezzo questo giovane talento che sperimenta tecniche diverse» commenta, «che è sempre alla ricerca della forma più adatta per raccontare le sue storie. Ad esempio nell’albo precedente (La signorina Else, Coconino Press), trattandosi dell’adattamento di un racconto di Arthur Schnitzler, rende omaggio ai grandi artisti della Secessione viennese. Ritroviamo così un tratto, riferimenti espliciti all’immaginario di Klimt o Mucha, per fare due nomi. Del lavoro premiato, che ha un sapore grafico che richiama l’Inghilterra degli anni Sessanta, ho amato in particolare la narrazione delicata e sensibile. Un fumetto che si può definire quasi un romanzo esistenziale».
Ma un segno che si evolve sempre non corre il rischio di non essere riconoscibile?
«In realtà, no. La personalità di un autore – quello che chiamiamo stile e che non è una formula data una volta per tutte – viene fuori molto lentamente. E’ un bene continuare a lavorare, ricercare modi di esprimersi sempre diversi. Significa avere la capacità di reinterpretarsi e di non ripetere forme vuote solo per un discorso di riconoscibilità che certamente è legato alla visibilità, che però ha soprattutto un valore commerciale».
E il significato del Gran Prix assegnato a Art Spiegelman?
«Un premio dovuto che finalmente è arrivato. Con Spiegelman ha vinto, di nuovo, il fumetto d’autore e di ricerca, quello che non si tira indietro nemmeno di fronte alla riflessione su di sé come linguaggio specifico. E Spiegelman, con il suo essere autore, studioso e divulgatore, ne è la perfetta incarnazione».
Questo ci dà l’occasione per tornare a parlare del Museo. Quali sono gli elementi che lo rendono così interessante?
«Mi sembra che dia una risposta soddisfacente alla domanda: come esporre il fumetto? La modalità di presentazione è sì orientata alla divulgazione, permettendo una fruizione completa e soddisfacente del materiale. Le tavole originali non sono semplicemente appese ad un muro. Ci si può avvicinare alle teche in modo da apprezzare meglio il tratto delle matite o delle chine, cosa importante per un addetto ai lavori. Ma al tempo stesso non è tutto basato sull’originale. Ci sono stampe realizzate con cura e tutte di ottima fattura, i libri per i quali quei fumetti sono stati realizzati. Così anche il semplice appassionato può essere iniziato a tutte le fasi di realizzazione di un fumetto. Avessi avuto io la possibilità di disporre di tali informazioni quando ho cominciato a disegnare» aggiunge ridendo. «Mi ricordo che una volta sono andato da Bonvi a fargli vedere i miei disegni e lui, notando che tutte le scritte nei miei balloon erano storte, mi ha suggerito di disegnare delle linee parallele a matita. Una cosa semplicissima, a cui io non avevo semplicemente pensato».
La visita continua. Si passeggia tra gli altri visitatori, poi ci si siede in uno degli spazi dedicati alla lettura: divani colorati con dei tavoli rotondi vicino dove sono poggiati albi illustrati che possono essere liberamente consultati. Ed è lì che Lorenzo Mattotti ci mostra le prove di stampa del suo prossimo libro: l’Huckleberry Finn che ha disegnato quando aveva 23 anni e che è stato pubblicato, ma poi mai ristampato, dalla Ottaviano Editore nel 1978.
Quando lo troveremo in libreria?
«In Francia uscirà la prossima primavera con Gallimard. In Italia vedremo».
Tornando ad Angoulême, cosa hai trovato più interessante?
«C’è la personale dedicata a Dominique Goblet.  Apprezzo molto il suo modo di disegnare. Ogni tratto esprime forza, permette di vedere il lavoro muscolare che ne è all’origine. Ogni segno è come un istante della sua vita messo in pagina e la narrazione che ne risulta si confonde con la vita stessa. Poi c’è la mostra sulla Nouvelle Bande Dessinée belge francophone, di cui la stessa Goblet fa parte. Li ho conosciuti anni fa, durante un seminario, quando erano ancora tutti studenti alla scuola di Sant-Luc di Bruxelles. Insomma, li ho visti nascere, crescere e distruggere con metodo e rigore la narrazione classica del fumetto e i suoi codici, sconfinare in altri territori più prossimi all’illustrazione e alla pittura. La mostra riassume bene questo loro percorso».
D’altra parte l’arte contemporanea scambia oggi così tanti rimandi con il fumetto…
«Sì, ma mentre loro hanno portato avanti un lavoro all’interno del linguaggio del fumetto stesso, studiandone prima a fondo le regole per poi decostruirle, quello che mi infastidisce è che dall’altra parte si assuma solo superficialmente l’estetica della bande dessinée. Perché ormai è qualcosa di consolidato. La figura del pittore è quasi scomparsa e chi davvero lavora sull’immagine disegnata, chi ha il savoir-faire, non sono che gli illustratori, gli animatori e i fumettisti. L’arte contemporanea ormai è interessata ad altro: all’installazione, all’oggetto, allo spazio».
Silvia Santirosi