martedì 22 febbraio 2011

Un gigante del fumetto italiano


(Via Pò, 19 febbraio 2011)
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“Un saper vivere e un sapersi muovere che io non ho mai rifiutato, ma nemmeno accettato”: così commentava Andrea Pazienza il no della sua casa editrice alla storia di Pompeo, alter ego invecchiato di Pentothal. Perché ricordiamo queste parole? Forse per non dimenticare che accanto all’artista, c’era l’uomo Andrea Pazienza. Vediamo perché. Nato tra colori, carta e tele, il padre era un superbo acquarellista, inizia a dipingere giovanissimo, smettendo altrettanto presto. “Non potevo accettare” racconta ancora in un’intervista, “che un mio quadro di denuncia potesse finire nella camera da letto di un costruttore di Monte Silvano”. Dopo il liceo artistico e il periodo pescarese, Andrea si trasferisce a Bologna dove frequenta il Dams. Ed è in quegli anni che nasce quella specie di “vademecum dell’irrisolto, del non integrato”, testimonianza impagabile anche degli anni della contestazione giovanile (tra l’altro mai attuali come in questi giorni). Il protagonista di quelle storie è proprio Andrea-Pentothal, incarnazione dell’incapacità a vivere il malessere, scisso tra realtà e sogno, con quel senso oscuro di persecuzione che spinge fino all’autodistruzione. Nell’estremo tentativo di evitare lo spettro del conformismo. Umberto Eco prima, Hugo Pratt poi, danno la loro benedizione a queste tavole. Videro così la luce Le straordinarie avventure di Pentothal (Fandango, pp. 138, euro 20,00) che la casa editrice romana pubblica in volume con un’introduzione di Enrico Palandri. Storie di ordinaria quotidianità dove ai coinquilini, ai compagni (di università o di collettivo), alle donne, anche quelle con il becco d’uccello, si mescolano personaggi come Buffalo Brill, il generale George Armstrong Custer, Don Chisciotte e Sancho Panza. Squarci di normalità alternati a visioni metafisiche, il tutto condito da mille riferimenti all’arte con la A maiuscola (da Klimt alla pittura metafisica, solo per fare un paio di esempi). Ecco allora file all’ora di pranzo fuori dalla mensa universitaria che fanno da contrappunto a distese desertiche o giungle che si perdono all’orizzonte. “Vedi se vedi la fine. La vedi?” urla da un balloon una voce fuori campo nell’ultima vignetta di una tavola. Filosofi e profeti hanno predicato nei secoli che il senso di qualcosa si legge attraverso e alla luce della (sua) fine. “Sempre si paga uno scotto, ogni suo piacere ha un prezzo. Il prezzo di una corsa a piedi nudi sulla battigia è un letto pieno di sabbia” leggiamo in un’altra storia. Quello della libertà, forse è la vita. Un prezzo che Andrea Pazienza ha pagato in contanti. La sua posizione di gigante del fumetto italiano, anche se con i piedi d’argilla (genio e fragilità, ahimè, si accompagnano spesso), ormai è consolidata. Meno quella di artista colto e raffinato. E questo libro può essere “utile” in questo senso.
Piccola postilla conclusiva. C’è ancora chi pensa che il fumetto sia letteratura di serie B, magari per il suo linguaggio ibrido, né romanzo né pittura, ma non solo (varrebbe lo stesso discorso per la letteratura di genere). Si sa anche, però, che bisogna economizzare il proprio disprezzo, dato il gran numero di bisognosi. Proprio come insegnava Chateaubriand.
Silvia Santirosi