lunedì 28 marzo 2011

Quando la storia si scrive col colore


(L'Unità, 27 marzo 2011)
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Non c’è visione senza pensiero diceva Maurice Merleau-Ponty, anche se ci possono essere immagini senza parole. Basti pensare alle Grotte di Lascaux e alle storie che narrano. Per questo la Mostra degli Illustratori della Fiera del Libro per Ragazzi di Bologna (dal 28 al 31 marzo) è un’occasione da non mancare. Vetrina mondiale dei migliori talenti ed energie creative, può essere una fonte di ispirazione e un’occasione per riflettere per tutti gli operatori del settore (editori, bibliotecari, insegnanti). Per non parlare degli altri illustratori o aspiranti tali. Era il 2007, l’anno in cui Wolf Erlbruch disegna la copertina dell’Annuario (quest’anno di Jutta Bauer, vincitrice nel 2010 del Premio Internazionale Hans Christian Andersen): i diversi animali dalle fattezze antropomorfe che si aggirano su un fondo giallo-ocra tenendo sottobraccio cartelline nere di diverse dimensioni sono impegnati in quel girotondo che si ripete ogni anno: la ballata degli illustratori alla ricerca di un editore. Ne abbiamo parlato con Paolo Canton, membro della giuria e editore (Topipittori).
Come è stata condotta la selezione?
«Con Carll Cneut, Sophie Var Der Linden, Ellen Seip e Pal’o L’Uboslav non abbiamo stabilito alcun criterio: insieme abbiamo visionato tutti i lavori e selezionato quelli che incontravano il favore anche di un solo giurato. Questa prima selezione, che accoglieva già lavori di qualità professionale, è stata approfondita attraverso un semplice meccanismo di voto. Nell’attribuire le mie valutazioni ho cercato di capire se, a prescindere dal mio gusto personale, le illustrazioni erano in grado di raccontare una storia, e se la sapessero raccontare da una prospettiva originale».
Così si è passati dalle 2836 candidature ai 76 artisti selezionati per un totale di 375 opere. Numeri che fanno pensare.
«Prima di arrivare a dire che si disegna più con la testa che con le mani, come dice Guido Scarabottolo, si devono possedere doti tecniche di disegno eccellenti, che non si possono improvvisare. E nel confronto immediato, i difetti e le incapacità di ciascuno balzano all’occhio. Un secondo problema è una scarsa cura nella presentazione dei lavori: cattive riproduzioni, supporti inadatti realizzazioni approssimative. Infine, sono certo che alcuni partecipano alla selezione solo per avere il pass per entrare gratis alla Fiera».
Il rito delle polemiche si celebra ogni anno. Cosa rispondere a chi sostiene che la mostra non rappresenta la realtà produttiva dell’editoria o a chi dubita della possibilità di giudicare le immagini senza il testo?
«Ai primi con una battuta: al Vinitaly non premiano il Tavernello, anche se è il vino più bevuto in Italia. Ai secondi rammentando che le immagini c’erano prima che ci fossero i libri: una storia non ha necessariamente bisogno di parole per essere raccontata».
Cosa manca all’illustrazione italiana?
«Nulla, credo, visto che è molto apprezzata all’estero. Ma certamente gli italiani, illustratori e non, soffrono di due malattie: una legata alla formazione, l’altra antropologica. Molti illustratori e aspiranti mancano di una solida cultura dell’immagine, ignorano la storia dell’illustrazione, del libro e dell’editoria. Poi c’è un diffuso provincialismo, la tendenza a fare parrocchia, da cui sarebbe meglio prendere le distanze. Bisognerebbe essere capaci di una maggiore freddezza critica nel giudicare il lavoro proprio e  altrui».
Consigli ai giovani?
«Determinazione, disciplina, rigore e studio. Non accontentarsi, non fare qualsiasi cosa pur di essere pubblicati. Curare ogni aspetto del proprio lavoro, imparare a valutarlo e a riconoscerne i punti deboli. Acquisire insomma un atteggiamento professionale e non puntare a essere grandi artisti, ma eccellenti artigiani. È importante poi muoversi, andare alla scoperta di altri paesi e di altri mercati».
E Philip Giordano, vincitore della prima edizione del Premio Internazionale d'Illustrazione Fiera del Libro per Ragazzi - Fundación SM (30 mila dollari e la commissione di un’opera) e autore dell’albo La Princesa Noche Resplandeciente (Gruppo SM), può essere a giusto titolo considerato un esempio virtuoso.
È cambiato qualcosa nella tua vita professionale?
«Il premio mi ha permesso di investire su di me, ad esempio ho subito acquistato un computer nuovo. E mi ha dato la possibilità di concentrarmi sul lavoro senza preoccupazioni pratiche. Almeno per un anno».
Come hai lavorato al progetto che ti è stato affidato?
«Pensavo di dovermi confrontare con storia molto classica che avevo letto, in prima battuta, in modo triste, cupo. Lavorando sulle immagini, mi sono accorto invece che avevo tra le mani qualcosa che parlava di rinascita e rinnovamento. Allora ho messo da parte lo storyboard e le due tavole che avevo già realizzato e ho ricominciato da capo. In questo mi ha aiutato molto il confronto con amici e colleghi».
Guardando i tuoi lavori, è evidente il richiamo all’Oriente.
«Ho sempre avuto una fascinazione per quell’universo, tra l’altro mia madre è filippina e il mio migliore amico vive a Tokyo. Avevo deciso di trascorrere un anno in Giappone per studiare, fare un’esperienza di vita e cercare lavoro. Ci sono illustratori (ad esempio Shigeru Mizuki, Rokuro Taniuchi, Shinta Cho, Iku Dekune), e quindi immagini, di cui non abbiamo nessuna conoscenza, nemmeno su internet. Per trovarli si dovrebbe lanciare la ricerca scrivendo ideogrammi. Devi essere lì, per esplorarlo. È un universo a parte».
Un esempio?
«Si potrebbe parlare per stereotipi, dicendo che l’Occidente è più materico, legato al concetto di pieno e l’Oriente più spirituale e attento piuttosto allo spazio, al vuoto in particolare, con una cura estetizzante per ogni dettaglio, al limite della maniacalità. Le campagne sembrano un grande giardino, le foreste quasi addomesticate. Ero appunto a Tokyo da due mesi. Visto quello che è successo, ora non so cosa fare».
Silvia Santirosi